Ma come si fa a parlare di viaggi nel mezzo di una maledetta pandemia che ha reso difficile la vita sociale e l’utilizzo del proprio tempo libero generando impoverimento culturale e contrapposizione sociale? Certo non è facile, ma parlare di viaggio è un ottimo antidoto per conservare la ricerca del piacere e alimentare il sogno che niente e nessuno potrà mai togliere… Dei viaggi, ho sempre cercato di raccontare non solo le bellezze artistiche e paesaggistiche dei luoghi visitati ma, soprattutto, l’anima del luogo, l’umanità che in quei luoghi vive, la sua storia la sua cultura e le sue contraddizioni… Concepisco il viaggio come conoscenza, superamento delle frontiere fisiche e ideali, incontro con la gente e la sua storia, l’arte e la cultura di un Paese. Amo il viaggio che non finisce e che continua nel racconto e nelle riunioni.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la recensione di
Tommaso Russo sul libro di Filippo Pugliese “Per le vie del mondo, sui sentieri dell’umanità”
La Villani Editore ha mandato in libreria un bel lavoro di Filippo Pugliese: Per le vie del mondo, sui sentieri dell’umanità. Un lettore che si trova fra le mani il libro e ne legge subito l’indice pensa di essere di fronte alle solite descrizioni esotiche o a curiosi diari di viaggio. Nulla di tutto ciò.
L’autore dispone le sue pagine su due piani: lo sguardo olistico e la trama simbolica. Questa presenta come incipit un episodio autobiografico cioè a dire il viaggio che da bambino Filippo Pugliese fece in compagnia di un gruppetto di amici in una galleria delle Ferrovie di Potenza. Superati il buio e la paura alla fine della galleria vedono la stazione, il fiume, la luce. La prima è per eccellenza un luogo di transito.
Nel secondo non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua perché tutto passa e scorre, la luce, infine, è la conoscenza. Il viaggio come un incessante cammino verso la conoscenza cui aspira la ragione umana. Il viaggio come metafora di una Itaca sempre cercata e rincorsa. Ulisse-Pugliese è il simbolo di questa ricerca e della conoscenza umana, razionale con cui indagare e guardare il mondo nella sua totalità, in maniera olistica.
Dei venti viaggi raccontati dal Mozambico a Palazzo San Gervasio, di cui qui se ne offre qualche piccola traccia, per non togliere al lettore il piacere della scoperta, l’approccio metodologico è il medesimo. L’autore guarda i luoghi con l’occhio del geologo, dell’archeologo, dello storico sociale, dell’antropologo, del naturalista e cesella tutti questi frammenti in un significativo quadro d’insieme. Il suo è lo sguardo sul tutto alla scoperta del costume sociale, della mentalità collettiva, delle culture materiali, degli stili di vita, della religiosità e della religione. Quando per il Medio Oriente, per la penisola araba, l’occhio dell’autore si posa sulle grandi religioni monoteiste con i conseguenti riferimenti biblici e testamentari l’inquadratura che si presenta non ha nulla del catechismo degli oratori. È il nesso tra l’uomo e Dio che emerge, è il senso del tempo, è il mistero della vita (il racconto delle tartarughe) che affascinano e seducono.
La cifra linguistica è sobria e senza sbavature, è piana e senza retorica perciò la narrazione che da essa scaturisce cattura il lettore e lo mette a suo agio, gli produce un piacevole effetto visivo col farlo penetrare nelle Mille e una Notte.
L’autore, infine, ha la capacità di entrare delicatamente nella storia politica dei luoghi visitati. Dopo aver terminato la lettura del singolo viaggio non si può, per esempio, non essere d’accordo con lui che smitizza Lawrence d’Arabia (o anche Ernest Heminguay), oppure quando descrive il rischio che i cinesi colonizzino il Mozambico (per il quale tifa), o con il Sultanato dell’Omam definito “l’anti-Dubai” o con il suo pianto, a Cuba, davanti al Memorial Comandante Che Guevara,.
Ciò che ha scritto Filippo Pugliese non è cronaca di viaggi ma vera e propria letteratura odeporica.