L’Ovidio raccontato in questo libro è il poeta di Sulmona, il cittadino romano, colpito da Augusto con un decreto di espulsione (relegatio) e confinato sul Mar Nero, a Tomi (l’odierna Costanza) per un Carmen e un error. L’esule è colto negli ultimi mesi della sua permanenza in terra getica, nello scorcio finale dell’ottavo anno di esilio (8-17 d.C.). Il poeta, l’uomo, dunque, sradicato dal suolo italico, sradicato dalla Roma in cui aveva dominato per l’arte poetica e la grande capacità di interagire in consuetudine di vita gaudente, spensierata, sotto l’egida di Afrodite e del figlio Cupido. È un esule che, memore della giovinezza vissuta fra gli affetti, lo sfarzo della città eterna, il sodalizio con artisti del cenacolo di Messalla Corvino e poi di Mecenate, vive la solitudine e il vuoto dell’esiliato e rimpiange il passato. Racconta di sé a quanti gli fanno corona: a Boèn, lo scita che da otto anni l’ospita nella sua casetta insieme alla figlia adolescente, Astra, che si è nutrita nel tempo della saggezza e dei sentimenti dell’esule; a Voreno, il centurione preposto a sorvegliarne la condizione di prigioniero, a Valeria, figlia del centurione, che con Astra ha appreso da Ovidio quanto è necessario per capire e affrontare la difficile arte di vivere; a Volumnia, moglie di Voreno, bella nella sua eleganza, a Marco Fulvio, il milite incline alla poesia, innamorato della fanciulla dagli occhi neri.