Riflessioni sull’uomo moderno
Gli indicatori utilizzati dall’autore nel suo Riflessioni sull’uomo moderno offrono una visione sintetica ed esaustiva del cattivo comportamento umano nella società odierna. Le tematiche trattate mostrano, in maniera cruda, tutte le contraddizioni del nostro vivere quotidiano.
Il continuo richiamo alla ‘natura’ dell’uomo, oscura e incomprensibile, evidenzia le contraddizioni dei comportamenti umani e la necessità di una riflessione che porti l’uomo a conoscere maggiormente il proprio intimo per potere mettere in atto comportamenti più ‘umani’ e più ‘sociali’. L’aspra critica al diffuso malessere della società vuole essere, pertanto, un invito alle persone a non farsi trascinare nel circolo vizioso di comportamenti ispirati dalla considerazione che “così fan tutti”.
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La Dea Mefite di Rossano di Vaglio
In contrada Rossano di Vaglio Basilicata, verso la metà del IV sec. a.C., gli Osco-Lucani costruirono un santuario dedicato alla Dea Mefite. Nel corso degli scavi sono state trovate, complessivamente, 59 iscrizioni in lingua osca studiate dal ricercatore francese Michel Lejeune. Dai ritrovamenti emerge che il culto per Mefite, dea tipicamente osca, si innestava su quello della Dea Madre celebrata nei menhir, nei recinti sacri (cromlech), sui sedili/altari di pietra secondo un culto diffuso da millenni nelle valli lucane.
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Domenico Asselta, l’amico grosso di Laurenzana
Domenico Asselta, appartenente a ricca famiglia gentilizia, nasce a Laurenzana il 27 luglio 1817. Iscritto, fin dal 1843 alla Carboneria, nel 1848, assume posizioni tanto radicali da essere deferito, nel 1849, all’Autorità Giudiziaria e quindi confinato. Nel 1859 promuove, in Laurenzana, la costituzione di un Comitato Insurrezionale. Nel 1860 fa parte del Comitato Centrale costituito in Corleto Perticara assumendo il grado di colonnello delle forze insurrezionali lucane. Il 18 agosto 1860, a Potenza, è ferito dai gendarmi del capitano Salvatore castagna. Nel 1861, ad Accettura e a S. Mauro Forte, si scontra con la banda Borjes. Nel 1866, eletto Deputato al Parlamento Nazionale, milita nella sinistra. Muore in Laurenzana l’8 maggio 1873. Il volume oltre che una puntuale ricostruzione dell’attività politica e amministrativa dell’Asselta contiene anche la trascrizione di inediti documenti d’archivi che offrono una finestra di osservazione sulla Laurenzana di metà Ottocento, teatro, all’epoca degli avvenimenti che vedono proprio in Domenico Asselta il principale protagonista.
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La civiltà contadina nel XX secolo
L’uso del dialetto, nel volume, è l’espressione più diretta e rappresentativa della civiltà contadina ormai quasi scomparsa. I termini dialettali, infatti, sono collegati con l’agricoltura fin dalla sua nascita. L’introduzione delle macchine industriali nel XX secolo ha cancellato pratiche che, pur con miglioramenti tecnici, si erano ripetute quasi intatte per diversi millenni La mietitrebbia degli ultimi decenni, la trebbiatura con la motrice-trattore e l’imballatrice hanno cancellato tutti i riti della civiltà contadina legata al mondo del grano. Analoghe trasformazioni sono avvenute in tutti i cicli produttivi legati al mondo primario (produzione dell’olio, del vino…) e nell’allevamento del bestiame. Per l’autore, che ha vissuto in quel mondo, la civiltà contadina può essere modernizzata ma non deve scomparire perché appartiene alla profondità del nostro DNA.
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Ovidio, il cantore dei teneri amori
L’Ovidio raccontato in questo libro è il poeta di Sulmona, il cittadino romano, colpito da Augusto con un decreto di espulsione (relegatio) e confinato sul Mar Nero, a Tomi (l’odierna Costanza) per un Carmen e un error. L’esule è colto negli ultimi mesi della sua permanenza in terra getica, nello scorcio finale dell’ottavo anno di esilio (8-17 d.C.). Il poeta, l’uomo, dunque, sradicato dal suolo italico, sradicato dalla Roma in cui aveva dominato per l’arte poetica e la grande capacità di interagire in consuetudine di vita gaudente, spensierata, sotto l’egida di Afrodite e del figlio Cupido. È un esule che, memore della giovinezza vissuta fra gli affetti, lo sfarzo della città eterna, il sodalizio con artisti del cenacolo di Messalla Corvino e poi di Mecenate, vive la solitudine e il vuoto dell’esiliato e rimpiange il passato. Racconta di sé a quanti gli fanno corona: a Boèn, lo scita che da otto anni l’ospita nella sua casetta insieme alla figlia adolescente, Astra, che si è nutrita nel tempo della saggezza e dei sentimenti dell’esule; a Voreno, il centurione preposto a sorvegliarne la condizione di prigioniero, a Valeria, figlia del centurione, che con Astra ha appreso da Ovidio quanto è necessario per capire e affrontare la difficile arte di vivere; a Volumnia, moglie di Voreno, bella nella sua eleganza, a Marco Fulvio, il milite incline alla poesia, innamorato della fanciulla dagli occhi neri.
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Il commissario Luigi Spina
Il neo Commissario-capo, Luigi Spina, fresco vincitore di concorso, è destinato al comando della piccola Stazione di Polizia di Bardonecchia. E’ stato mandato per risolvere il problema rappresentato da Belisario, Commissario in servizio in odore di collusione con la malavita locale. L’intuito del neo Commissario e l’aiuto delle tante donne presenti nella sua vita gli permettono di indagare su una vasta operazione della mafia che intende fare di questa zona di confine il centro internazionale di riciclaggio del denaro sporco. E’ un libro che si legge tutto di un fiato con continui cambi di scenari investigativi e interpretativi che avvincono il lettore sempre più curioso di conoscere il finale della storia.
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Attimi
Il titolo Attimi è bello e appropriato. Perciò il lettore non ha da fare altro se non abbandonarsi ad una lettura semplice, che non crea problemi di interpretazione. Le liriche, infatti, scivolando l’una dietro l’altra, come, sotto un raggio di luce mobile, via via ci fanno scoprire, in successione, aspetti sorprendenti della realtà. La vita è bella, dice una sezione della raccolta. Basta aprirsi a essa senza pretese e senza assilli interpretativi. Una poesia, insomma, che è di consolazione per l’autrice e per il lettore; una poesia che, tra malattie, terremoti, naufragi e genocidi, si muove leggera come una piuma.
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E’ fatto giorno
Alla pubblicazione di È fatto giorno di Rocco Scotellaro, a cura di Carlo Levi, vincitore del premio Viareggio, nel 1954, fu dovuta l’esplosione del “caso” letterario di quell’anno e degli anni immediatamente successivi. La novità della nostra edizione è che essa viene accompagnata, e diremmo sostenuta, con presentazione, illustrazione, commento ed interpretazione del testo, lirica dopo lirica. Caserta sa che la poesia, più che la prosa, va letta, analizzata, commentata e annotata, cioè “spiegata”, nel senso etimologico della parola. È il miglior servizio che alla conoscenza della poesia di Scotellaro si poteva rendere, nel centesimo anno della sua nascita.
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San Fele
Un libro che parla di persone e di cose del secolo scorso offrendoci degli autentici bozzetti della vita quotidiana sanfelese. L’autore sostiene, a buon diritto, che non si può capire il presente se si prescinde dal passato. Senza alcuna nostalgia per le proibitive condizioni che hanno contrassegnato, per secoli, la vita della maggior parte delle persone dei paesi del sud, l’autore, sul filo della memoria e della ricerca storica, racconta i fatti di storia e di cronaca, le tradizioni popolari, le condizioni di vita di protagonisti, ormai, quasi del tutto scomparsi. Si tratta pertanto di un lavoro volto a ricordare, soprattutto ai giovani di oggi, i fatti, le situazioni, i personaggi di un recente passato che hanno contribuito a rendere “noi” quelli che adesso “siamo”.
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I Salazar, conti di Vaglio
Alfonso Salazar, di famiglia spagnola, nel 1589, acquistò il feudo per 34.000 ducati governandolo fino alla sua morte quando viene sepolto in Vaglio nella chiesa madre di S. Pietro. Gli successe il figlio Andrea, uomo di grande impegno pubblico e culturale. Don Andrea morì a Potenza affranto dal dolore e dalle lotte sostenute per salvare da rovina il figlio Francesco. Costui, infatti, privato del feudo e pieno di debiti visse dal 1626 al 1642 come ospite del cognato Antonio Carafa, marchese di Bitetto. Spinto dal desiderio di vendetta, nell’aprile del 1646, Francesco Salazar assaltò il palazzo baronale di Vaglio sequestrando il barone in carica. In conseguenza di questa azione il conte Francesco fu preso e condannato al carcere dove rimase fino a settembre 1647. Dopo la rivolta di Masaniello, la Francia, da sempre contraria agli Spagnoli, nominò Francesco “preside e vicario” per la provincia di Basilicata affidandogli il comando delle forze insurrezionali che sottomisero molti paesi della regione. I successivi dissensi tra Salazar e l’alleato Matteo Cristiano portarono all’indebolimento delle loro forze. Catturato e, condannato a morte, il conte Francesco venne strangolato e poi decapitato.
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