Le iscrizioni latine di Potenza in età imperiale
Il libro una sintetica storia di Potenza in età romana e la trascrizione di tutte le epigrafi latine rinvenute, ad oggi, nella città. A Giuseppe Rendina (1609-1673) si deve la prima trascrizione di 21 iscrizioni latine rinvenute nel territorio potentino. Agli inizi dell’800, Emanuele Viggiano (1770-1840) ha trascritto complessivamente 40 iscrizioni, molte delle quali già edite dal Rendina. A metà dell’800, Theodor Mommsen (1817-1903) nel Corpus Inscriptionum Latinarum (C.I.L.) ha trascritto un totale di 56 iscrizioni. Dopo il Mommsen il corpus delle iscrizioni potentine si è ulteriormente accresciuto di altre 17 unità arrivando oggi a contare complessivamente 71 iscrizioni latine e 2 in lingua greca. Le epigrafi raccontano la storia della città, dalle origini lucane alla trasformazione in municipium romano, fino alle prime presenze cristiane ed ebraiche. Un’opera che unisce rigore scientifico e chiarezza divulgativa, offrendo agli studiosi e ai lettori uno sguardo nuovo sulle radici più antiche della città di Potenza.
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La deriva
La deriva è la storia di Francesca, giovane giornalista praticante in un’agenzia stampa. La narrazione parte da un fatto di cronaca, la morte di D’Antona, per passare, poi, a servizi e inchieste inquietanti che documentano il degrado nelle periferie urbane, percorsi di perdizione attraverso l’uso di droga e alcool che rendono i nostri giovani vulnerabili e facili prede di santoni che fanno del misticismo un modo per ingrossare il proprio portafoglio. Altre inchieste documentano lo sfruttamento della Terra fatto a scapito delle popolazioni residenti che soccombono allo strapotere di compagnie transnazionali. La lectio magistralis, che Francesca tiene ad un corso di new journalism, manifesta l’impotenza di una libera stampa nei confronti di un potere che tutto tacita e tutto sottomette.
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Antologia salandrese, il vissuto di un popolo e del suo territorio
Antologia Salandrese. Il vissuto di un popolo e del suo territorio è un’opera collettiva che racconta la storia, la cultura e l’anima di Salandra, piccolo comune lucano custode di un ricco patrimonio immateriale. Dall’etimologia mitologica del nome, legata al dio Acheloo, ai riti religiosi della Madonna del Monte, dalla frana che inghiottì la cappella di San Donato fino alle lotte risorgimentali e al brigantaggio postunitario, il libro attraversa secoli di storia con rigore e passione.
Un mosaico narrativo che intreccia fonti storiche, racconti orali e tradizioni popolari per restituire la voce autentica di una comunità. Un testo prezioso per chi ama la storia locale, l’antropologia culturale e le narrazioni identitarie del Sud Italia.
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Ho studiato solfeggio nella stazione di Matera
Questo libro non è solo una raccolta di storie, ma un viaggio intimo e potente attraverso la memoria, l’ironia e le contraddizioni di una generazione che ha vissuto l’inquietudine come compagna di strada.
Fra la stazione di Matera e le piazze dei paesi lucani, fra concerti improvvisati, collegi claustrofobici e sogni di rockstar, Daniela ci racconta – con la voce libera di chi non ha mai accettato di stare zitta – una realtà ruvida e meravigliosamente imperfetta. Con una scrittura vibrante e pungente, l’autrice dà voce a una femminilità che non si lascia definire, a un’intelligenza emotiva che sfida la banalità e alla tenacia lucana che resiste, canta, danza e sogna, anche nei giorni storti. Chi legge questo libro, non leggerà solo delle storie. Entrerà in un mondo. E forse, ne uscirà un po’ più libero.
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Mefite, l’ultima dea madre
In contrada Rossano di Vaglio Basilicata, nel IV sec. a.C., gli Osco-lucani, provenienti dall’Umbria, costruirono un grande santuario dedicato alla Dea Mefite. Gli scavi, effettuati dal 1966 al 2007, hanno portato al ritrovamento di 59 iscrizioni in lingua osca scritte con caratteri alfabetici greci (tra la fine del IV sec. a.C.) e latini (dalla fine del II sec. al I a.C). Le iscrizioni si riferiscono a dediche pubbliche e private. Ben 14 iscrizioni si riferiscono alla Dea Mefite che è la divinità più venerata nel Santuario, ma non la sola. Ci sono, infatti, iscrizioni che riportano i nomi di Mamerte, Giove, Venere, Oina ed Ercole. A Michel Lejeune, ricercatore francese giunto a Vaglio alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, si deve la più completa e sistematica esegesi paleografica, linguistica e storica di tutte le iscrizioni ritrovate a Vaglio.
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Concilium
Durante la seconda sospensione del Concilio di Trento, indetto da papa Paolo III nel 1545 e osteggiato dal papa regnante Paolo IV, il giovane Pietro, appartenente a una comunità valdese della Calabria cosentina, intreccia una relazione apparentemente fugace con Anna, la figlia del signore locale. La loro frequentazione si interrompe per la partenza di lei alla volta di Salerno, ospite dell’illuminato arcivescovo Seripando, e di lui presso i correligionari del foggiano, ivi indirizzato dal “barba” Giovanni, suo anziano mentore. Quest’ultimo gli ha affidato due originali elaborati, l’uno che sintetizza in versi le dispute religiose in atto, l’altro rappresentato da un irriverente gioco matematico, ma entrambi collegati all’equazione cubica, da poco risolta da valenti maestri d’abaco. Sarà per Pietro l’inizio di un percorso di emancipazione, da Roma a Venezia, da Ginevra a Trento, caratterizzato da una nuova consapevolezza di sé ma scandito dagli anatemi dei decreti “de fide” dei padri conciliari. Stimolato e ammaliato da donne anticonformiste rispetto alla sua Anna, come l’altera Beatrice, valdese dai nobili natali, e la muta Marieta, domestica “sui generis” al servizio della Serenissima, proverà allora a districarsi tra “spirituali” italiani e calvinisti ginevrini, tra processi per “sollicitatio ad turpia” e sanguinosi eccidi di eretici, in una cristianità dilaniata da feroci contrapposizioni che il Concilio tridentino riuscirà solo parzialmente a ricomporre.
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Iconografie del paesaggio lucano
Gerardo Corrado vive a Potenza. Insegnante, per brevi periodi, in alcune scuole dell’Appennino lucano, viene in contatto con l’estrema povertà dell’interno della regione. Dopo il servizio militare, per tre anni, è insegnante dei minori presso il Carcere Giudiziario di Potenza. Nel 1969 lascia Potenza e va a insegnare nella periferia romana (Primavalle). Qui l’intreccio tra sviluppo e sottosviluppo lo impegna politicamente con proposte contro l’emarginazione e il disadattamento. Ma non cessa i legami con la sua regione nativa. Roma è solo la “Capitale del Sud” dove si scarica il peso di un’opposizione mai risolta in Italia: quella tra città e campagna. È proprio riflettendo sul contrasto tra città e campagna che Corrado fa il suo incontro con il pensiero di Giustino Fortunato, il primo, tra gli storici e gli studiosi del tempo, che indicherà agli italiani l’esistenza di due Italie, non solo economicamente, ma, anche moralmente. Il catalogo presenta 30 dipinti a colori e 32 disegni in bianco e nero.
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Il mondo dietro le palpebre
Questo libro invita a esplorare quegli attimi unici in cui il mondo si dissolve dietro le palpebre e emerge qualcosa di più profondo: la calma, il piacere, la connessione con l’essenziale. Ogni pagina è un rifugio, un angolo intimo dove il tempo sembra fermarsi e i sensi si risvegliano. Qui, chiudere gli occhi non è un atto di fuga, ma di riconciliazione. È un viaggio verso quei piccoli universi personali dove il silenzio parla, il riposo abbraccia, e il momento presente diventa un dono. Un omaggio visivo e poetico alla pace che troviamo nella quotidianità quando guardiamo verso l’interno e facciamo di quei momenti il nostro rifugio.
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Le storie dimenticate dell’8 settembre 1943
Tutti conoscono quello che successe dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Le truppe Alleate bombardarono paesi e città. Ma pochi conoscono la fine che fecero i soldati dell’esercito italiano dislocati nei tanti fronti di guerra, che, in seguito all’armistizio, vennero a trovarsi senza ordini e senza direttive. Circa 700mila soldati italiani, disarmati dagli ex alleati tedeschi, vennero deportati nei campi di concentramento. Quasi 80mila furono i soldati che persero la vita durante la tragica ritirata dalla Russia. In Africa l’esercito inglese fece prigionieri oltre 300mila soldati italiani. Circa 125.000 furono fatti prigionieri degli Stati Uniti. Oltre 50.000 furono quelli fatti prigionieri dalla Francia.
Il volume intende ricordare i sacrifici di soldati mal equipaggiati; caduti e dispersi in terre lontane; rientrati con mille peripezie attraverso itinerari difficili e aiuti inattesi; prigionieri ingabbiati nelle stive delle navi e affondati; combattenti diventati ostaggi con viaggi interminabili verso destinazione ignota; soldati trattenuti oltre la fine della guerra e non desiderati a rientrare in Italia. Pagine di storia poco raccontate. Le “storie” di questi contadini, artigiani, operai devono appartenere alla “Storia” delle nostre comunità, oggi libere, anche grazie al loro sacrificio.
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Nel centro dell’inferno
Dopo aver trascorso a Salandra i primi 11 anni della sua vita, Nicola Castellano viene mandato a studiare in Collegio a Frascati ove rimane per 8 anni. Nel 1941, mentre frequenta il corso di Laurea in Medicina, viene chiamato alle armi e inviato sul fronte russo in Ucraina. Dopo 3 anni di guerra Nicola torna a casa. Riprende gli studi e a Pisa consegue la Laurea in Medicina. Sposatosi con una ragazza toscana, esercita la professione di medico nell’ospedale psichiatrico di Lucca. Al ritorno dalla guerra scrive un diario che, pubblicato a Firenze, nel 1967, con il titolo di Inferno, andata e ritorno, in breve tempo diventa introvabile. Solo le fotocopie, casualmente ritrovate nell’archivio comunale di Salandra, permettono al curatore del volume di leggerne il testo e di procedere alla sua ri-pubblicazione con il medesimo titolo. Il diario è la testimonianza diretta di chi ha vissuto sulla propria pelle le sofferenze che la guerra porta con sé. I luoghi che quotidianamente sentiamo per televisione dagli inviati in Ucraina sono gli stessi raccontati nel diario (Leopoli, Donetsk, Oblast…).
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